.:L'Italia in Guerra:.

In base all'articolo 7 del trattato che univa l'Italia alla
Germania e all'Austria, la posizione neutrale assunta dall'Italia era
perfettamente legittima, infatti il punto prevedeva la discussione
preventiva dei territori da dare in compenso alla fine della guerra e
ciò non era avvenuto. Ma il problema della posizione italiana rimaneva
irrisolto.
All'interno
del paese erano infatti schierati i neutralisti e gli interventisti. Ai
primi appartenevano:
-
i socialisti:
essi infatti ritenevano la guerra voluta dalle grandi potenze
imperialiste e capitaliste europee ma d'altra parte erano isolati e
il loro neutralismo era stato indebolito dalle posizioni
interventiste dei socialisti europei;
-
i cattolici:
ovviamente il pontefice non poteva che schierarsi contro la guerra,
anche se esisteva ancora il contrasto tra l'obbligato neutralismo
della Chiesa e la dovuta lealtà dei cattolici allo Stato di cui
facevano parte;
-
i giolittiani:
Giolitti sosteneva che la guerra sarebbe durata molto tempo e
l'Italia era impreparata sia economicamente che militarmente ad
affrontarla. Ma Giolitti non si limitò a manifestare la sua
posizione sulla situazione italiana, anzi formulò un'analisi della
situazione internazionale: egli riteneva che si sarebbe potuto
ottenere "parecchio" senza la guerra, ove parecchio indicava
l'opportunità di contrattare la neutralità come se fosse una
vittoria. D'altronde anche la situazione dell'Austria, che non
poteva resistere all'urto di altre diverse nazionalità, lasciava
presagire ciò. Invece proprio l'Austria era assolutamente contraria
a qualsiasi cessione di territori, nonostante le pressioni tedesche.
Agli interventisti appartenevano:
-
gli "interventisti
democratici" e i "socialisti riformisti":
i primi erano fautori di una pronta cessione delle terre irredente;
i secondi ritenevano che solo sconfiggendo gli imperi centrali si
potevano attuare le aspirazioni di indipendenza nazionale e di
democrazia dell'Europa intera; gli esponenti del sindacalismo
rivoluzionario: guidati da Mussolini, essi credevano nella
prospettiva rivoluzionaria che potrebbe nascere dalla sconfitta
degli imperi centrali e criticavano apertamente la passività dei
socialisti italiani;
-
i nazionalisti:
essi vedevano nella guerra esclusivamente l'anti - democrazia e le
ambizioni espansionistiche;
-
i liberali
conservatori:
essi ritenevano che da un lato, entrando in guerra, al parlamento
venivano dati poteri straordinari tali da far finire per sempre le
riforme giolittiane, e dall'altro puntavano a riottenere i territori
del Trentino e Trieste e di far acquistare all'Italia lo status di
grande potenza.
Era allora ormai
inevitabile la rottura da parte dell'Italia della Triplice Alleanza
sancita nel 1915 con il Patto di Londra tra Italia, Inghilterra,
Francia, Russia. In caso di vittoria l'Italia avrebbe ottenuto il
Trentino e Trieste, l'Istria, la Dalmazia, il porto di Valona e altri
territori da stabilire.
Rimaneva il
problema di convincere il parlamento di maggioranza giolittiana ad
entrare in guerra. Molte furono le manifestazioni a favore durante le
"radiose giornate di maggio", e alla fine il re e Salandra, con uno
stratagemma, riuscirono nell'impresa. Salandra finse di dare le
dimissioni e al suo posto fu convocato Giolitti. Questi, saputo
parzialmente del patto di Londra, si rese conto che il suo parecchio non
era più sufficiente e rifiutò l'incarico. Allora il re non accettò le
dimissioni di Salandra, il governo ebbe poteri speciali e il 24 maggio
1915 l'Italia dichiarò guerra all'Austria.
Le prime
battaglie, come prevedibile, ebbero esito disastroso: nei territori del
Carso i soldati italiani subirono quattro cruente disfatte (Battaglie
dell'Isonzo). Nel frattempo la Bulgaria si schierava dalla parte degli
imperi centrali, aggravando la posizione russa nei Balcani ma
soprattutto quella serba. L'unico presidio dell'intesa nei Balcani fu
Salonicco, città greca ufficialmente neutrale ma in realtà alleata
dell'Intesa.
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